La strana storia del telefono e la sua partenza dal vecchio negozio avevano lasciato tutti di stucco.
La vita può essere davvero imprevedibile persino per gli oggetti accatastati e impolverati nel vecchio negozio del rigattiere.
Nel silenzio sceso dopo la chiusura serale della serranda, l’unico a parlare fu il grande pendolo che, oltre ai lampadari, godeva di una prospettiva privilegiata rispetto a tutti gli altri.
«La vita è davvero imprevedibile - sentenziò - non bisogna fermarsi alle apparenze».
Tutti si sentirono in dovere di annuire ma in realtà sapevano che persino fra loro le apparenze contavano, eccome! Gli oggetti degni di essere considerati di vero antiquariato o di buona fattura trovavano irriguardevole essere finiti in mezzo a oggetti e suppellettili di nessun valore, finiti lì in seguito ad un frettoloso trasloco.
Ma l’assunto del pendolo, non smentito da nessuno, incoraggiò una vecchia targhetta metallica a prendere la parola. Era una targhetta minuscola con quattro buchi, due a destra e due a sinistra, grazie ai quali era rimasta attaccata per tutta la sua vita utile alle pareti di un ascensore in un lussuoso hotel presso una famosa località turistica.
Portava scritto a grossi caratteri: TOTALE PERSONE 4. PESO MASSIMO CONSENTITO 320 CHILOGRAMMI.
Io potrei raccontare una storia interessante. Vi interessa? - chiese con voce timida e impercettibile.
«Ma certo!» rispose a nome di tutti una piccola ciotola di terracotta colorata che gli stava accanto, senza dare il tempo a nessuno di obiettare alcunché. E così la targhetta cominciò il suo racconto.
«Voi non avete idea - disse la targa cercando di solleticare immediatamente la curiosità dei suoi compagni - quanta gente ho visto io, stando ferma nel mio ascensore!».
«Nel mio hotel - disse con una punta di orgoglio - è passata tanta gente dello spettacolo, cantanti e attori famosi, ma anche politici, uomini potenti con le loro signore, anche capi di stato! In genere, mentre l’ascensore si muoveva su e giù per cinque piani, nessuno fiatava, ad eccezione di qualche bambino. Però nella parete di fronte alla mia, c’era un grande specchio che rifletteva l’immagine di ciascuno, a volte di spalle o di profilo, ma spesso anche di fronte, perché pochissimi rinunciavano all’opportunità di darsi un’ultima occhiata e una sistematina.
Così incrociavo, non vista, i loro sguardi. Oh, voi non sapete cosa si può leggere nello sguardo di una persona: tristezza, preoccupazione, agitazione, rabbia, solitudine, amore.....Questo giochetto non ero la sola a farlo.
C’era con me tutti i giorni, mattina e sera, il signor Ugo, assunto giovanissimo dall’hotel per svolgervi il compito di accompagnare i vari ospiti ai piani. Stava dritto e impettito e si limitava a chiedere: "Piano?" E, ricevuta la risposta, premeva il tasto corrispondente e appena l’ascensore arrestava la sua corsa, prendeva le valigie e le portava fino all’ingresso delle camere. Infine si allontanava dicendo sempre la stessa frase: "Buona permanenza" e arrangiava un sorriso di circostanza.
Per quarant’anni sempre lo stesso rituale, restando dritto e impettito come il primo giorno. Ogni tanto, per ingannare il tempo, come me guardava di sottecchi gli ospiti in arrivo o in partenza.
Poi la sera, quando scendeva al seminterrato con l’altro personale di servizio al guardaroba per togliersi la divisa, scambiava finalmente quattro chiacchere con loro, per di più pettegolezzi, tutti comunque abbastanza fondati, sul conto dei clienti. Questi peraltro, col tempo, erano diventati meno numerosi e meno raffinati e, con mio grande piacere, più ciarlieri.
Ugo, invece, rimaneva sempre uguale, come se il tenore dell’albergo fosse rimasto quello dell’inizio. Una sera, però, sentii che diceva, con la voce strozzata, ai suoi colleghi: "L’hotel chiuderà. Non ci escono più coi conti. Questione di tempo."
Di tempo ne passò meno di quello che si poteva pensare ed arrivò la vigilia del giorno fatidico in cui i titolari sarebbero andati dal notaio per l’atto di vendita. Non si sapeva bene quale sarebbe stato il destino dell’immobile ma qualsiasi cosa avrebbero fatto, quello che era certo è che non sarebbe rimasta pietra su pietra.
Quella domenica sera, approfittando del fatto che la moglie e i figli erano andati a trovare degli amici al mare, Ugo decise di andare per l’ultima volta in hotel, ormai vuoto e silenzioso, portando con sé un piccolo giravite allo scopo di staccarmi dalla parete e tenermi in tasca. Fu così che, con mio grande sollievo, fui salvato da una brutta fine, finendo nella tasca del suo cappotto.
Ugo volle fare un ultimo giro con l’ascensore, fermandosi ad ogni piano ma, quando eravamo ormai in discesa, il motore dell’ascensore si bloccò e rimanemmo chiusi, sospesi tra il quarto e il terzo piano, immersi nel buio, con appena un soffio d’aria per passare la notte.
Non c’era nulla da fare. Neanche l’allarme funzionava. Ma poi, anche quando, chi l’avrebbe sentito?
Ugo si sedette rannicchiato in un angolo, avvolgendo con le sue braccia le gambe ripiegate e tentò, di dormire.
Il sonno però non arrivava. Davanti a Ugo scorrevano le immagini di una vita sempre uguale trascorsa in quel bugigattolo. Improvvisamente lo colse un’ansia sconosciuta: Come aveva potuto passare così la sua intera esistenza? Ma davvero non si era mai accorto di quanto arida e noiosa essa era stata?
Vinto dalla stanchezza finalmente si addormentò ma un terribile incubo prese subito corpo: era come se tutto l’hotel si fosse trasformato in un grande ascensore ma poi tutta la città, il paese, la terra intera, divenne un immenso ascensore che saliva e scendeva sospesa nell’universo, con la gente stipata al suo interno, indifferente e triste, con lo sguardo perso nel vuoto, o ripiegato sul proprio ombelico a, al massimo intenta ad aspettare il passaggio repentino di qualche stella dove specchiarsi.
Poi anche questo ascensore si fermava e tutti, assaliti da un grande terrore, cominciarono a correre all’impazzata, senza curarsi gli uni degli altri, calpestando i più fragili che cadevano sotto la pressione della folla, mentre le voci dei bambini in cerca dei genitori smarriti rendevano tutto ancora più straziante.
Si svegliò in preda al panico, con il cuore che gli batteva fortissimo e, forse per trovare un po’ di sollievo, mi tirò fuori dalla tasca e cominciò rigirandomi tra le dita.
Povera me! Non vedevo l’ora che arrivasse il giorno! Quando si ebbe calmato un po’ - sarà stato merito mio? Boh! - Ugo cercò di aiutarsi con altre immagini a lui più care: pensò ai suoi vecchi genitori, alla moglie, al figlio e alla figlia con le loro famiglie, in particolare ai suoi adorati nipotini, pensò al suo infaticabile parroco che ogni sera veniva a ritirarsi gli avanzi della colazione che regolarmente distribuiva alle famiglie bisognose. Così anche quella notte che sembrava infinita, ebbe fine. Alle prime luci del mattino il vecchio titolare visitò l’hotel per l’ultima volta e, avvertito il rumore di Ugo che picchiava coi pugni sulla porta dell’ascensore, provvide subito a riportare l’ascensore al piano e a farlo uscire.
Non appena uscito Ugo si abbandonò ad un pianto irrefrenabile. "Anche lui si dispiace per la chiusura del mio locale", pensò il titolare, non conoscendo i veri motivi che appesantivano l’animo del suo fedele collaboratore.
"Ti aspetto domani alla cena di addio - gli disse - mi raccomando porta anche tua moglie."
"Non so se verrò - disse Ugo - ho un altro impegno."
Il titolare guardò perplesso Ugo perché mai una volta gli aveva obiettato di avere "altri impegni" ma non volle insistere perché scorse negli occhi di Ugo, un non so che di insolita vivacità.
Ugo infatti quella sera passò un attimo a salutare i suoi colleghi ma poi portò a cena tutta la sua famiglia, e anche il parroco, avendo cura di comprare un regalo speciale per ciascuno di loro. E quando il figlio gli chiese se stavano festeggiando qualcosa di particolare, Ugo rispose: "Certo. Il fatto che ci siete, oggi, nella mia vita. Grazie."
Per fortuna i nipotini corsero a stringersi al nonno, e nessun’altra spiegazione fu chiesta ad Ugo.»
«Poi fu più felice?» - chiese la ciotolina.
«Pensò di sì, ma non so dirvi nulla di preciso perché io sono stata riposta in un cassetto e lì purtroppo ho passato tanto tempo senza vedere la luce, fino a quando mi hanno portato qui, insieme ad altre cose che sono appartenute a Ugo.»
Terminato il suo racconto, stette un attimo in silenzio e subito aggiunse: «Ne è passato di tempo, lo so, forse sarebbe stato meglio per me venire distrutta insieme all’hotel. Cosa mi può riservare ancora la vita?»
Stavolta neanche la ciotolina riuscì a dire nulla che rincuorasse la targhetta; solo un vecchio cavatappi che se ne stava sdraiato accanto a lei con le braccia sollevate le disse: «Che vai dicendo? Nella vita ci sono anche gli imprevisti! Tutto sommato non hai ancora un accenno di ruggine addosso!». A queste parole del cavatappi fece seguito l’improvviso rumore della saracinesca che si alzava. Il rigattiere stava aprendo il negozio molto anzitempo e si sedette al banco a guardare nervosamente delle carte che teneva in mano.
Era semplicemente furioso ma il motivo di tanto nervosismo fu presto chiaro quando prese il telefono, chiamò a casa e cominciò a inveire contro la moglie; in realtà ce l’aveva con il figlio il quale, da quando aveva preso la patente, ne combinava di tutti i colori. Quei documenti non erano che multe!
«Dì a quell’incosciente di passare dal negozio all’uscita di scuola e di riportarmi le chiavi della macchina. Da oggi si muoverà con l’autobus come tutti i suoi compagni!»
Qualche minuto dopo la chiusura al pubblico ecco arrivare il ragazzo. Egli era conosciuto ai più vecchi oggetti esposti; essi l’avevano visto crescere, girovagare spesso nel grande negozio, correre e giocare, con una certa trepidazione per la loro stessa incolumità.
La sorpresa fu che il giovane arrivò accompagnato dalla nonna. Il rigattiere, alla vista della madre, conoscendo il debole che questa aveva per il nipote, subito l’assalì dicendo: "Che sei venuta a fare? Tu mi devi fare il piacere di stare zitta."
Poi comincio ad elencare le multe: c’erano divieti di sosta, rocamboleschi posteggi sul marciapiede, un senso vietato ("non si leggeva bene il cartello" -provò a difendersi il ragazzo). Ma soprattutto un numero incredibile di multe per avere caricato passeggeri in numero superiore al consentito!
"Papà - disse il ragazzo sperando in un ultimo tentativo - io non vorrei ma loro insistono, alcuni non hanno la patente, nessuno la macchina.
"Non mi importa. Sei un autista tu? Qualcuno ti paga per questo?"
Nel frattempo che il rigattiere urlava, la nonna si aggirava silenziosa tra i tavoli e così il suo sguardo si pose proprio sulla vecchia targhetta. Sorridendo la prese in mano e ritornò al banco.
"Che c’è" - gli chiese il figlio - aspettandosi una delle sue.
"Per questo c’è una soluzione: metti questa sulla macchina - disse mostrando la targhetta al nipote - e prometti a tuo padre che da oggi sarai più attento e rispettoso delle regole".
"Grazie nonna" - disse il ragazzo, abbracciandola e schioccando un grosso bacio sulla sua guancia. E mentre la teneva abbracciata guardò nuovamente il padre il quale, a quello spettacolo, sentì un po’ sciogliere la sua rabbia. "Sei una pazza" - disse rivolgendosi alla madre e, facendo finta di nulla girò i tacchi e si ritirò nel suo ufficio.
Ora voi mi chiederete se la targhetta fu davvero attaccata sulla macchina. Certo che sì e capirete che in questo modo trascorse anni e anni splendidi, come a nessuna targhetta della sua specie è stato mai permesso, girando in lungo e in largo e sempre in compagnia dei giovani.
Anche oggi che il nostro ragazzo è cresciuto ed ha una macchina gigante che usa per sé e per la sua famiglia, non ha voluto sbarazzarsi della sua prima utilitaria.
Ogni tanto la porta in giro e la targhetta suscita ancora in chi la vede una certa curiosità divertita.
Quando rientra in garage e scende la notte, la targhetta ripensa sempre a quell’altra notte trascorsa con Ugo dentro l’ascensore.
Nonostante la fortuna che le è capitata di vivere una straordinaria esperienza, imparagonabile alla sua vita precedente dentro quell’angusta scatola, o forse proprio per questo, sente che ciò non le basta.
Si agita nel suo piccole cuore uno struggente desiderio di poter vivere in un luogo ancora più aperto, magari sconfinato, dove respirare a pieni polmoni e lì rincontrare il suo vecchio amico Ugo, rinvangare i vecchi tempi, raccontargli i nuovi avvenimenti, condividere i più intimi desideri del cuore, assaporando per sempre il gusto unico di una vera amicizia.