Avete mai sentito le storie dove, non dico gli animali (quelli si sa) ma persino gli oggetti parlano? Capita spesso nelle storie fantastiche che gli oggetti si parlino tra loro specialmente quando non c’è anima viva intorno ma, vi assicuro, non c’è niente di paragonabile a quello che succede nel negozio del rigattiere. Quello che io vi narrerò è solo un episodio tra mille ma è molto significativo e spero proprio che vi piacerà.
In quel vecchio negozio con l’insegna ormai scolorita "Dal rigattiere", non c’era un angolo libero e per muoversi tra mobili, suppellettili, soprammobili e ogni tipo di chincaglieria, bisognava fare molta attenzione.
Giunta la sera, dopo la chiusura, quando gli anziani padroni e la giovane commessa se ne erano andati, esplodeva un chiacchiericcio pazzesco perché ognuno aveva sempre voglia di raccontare qualcosa, scavando nel grande sacco dei propri ricordi. Arrivò così il turno della vecchia piccola zuccheriera, di finissima porcellana, con degli splendidi disegni raffiguranti tenerissimi fiori di glicine, con il bordo e la punta del coperchio dorati.
Con voce delicata ma ferma cominciò a raccontare:
- Sono nata in una delle migliori fabbriche del mondo che produceva oggetti in porcellana.
Non lo dico per vantarmi, sapete? Ma quel giorno, quando mi misero nel centro di una grande scatola insieme a 12 tazzine e a 12 piattini decorati come me, mi sentivo felice e orgogliosa come una mamma o come una sorella più grande. Dopo un lungo viaggio la scatola arrivò in un lussuoso negozio. Non passò molto tempo che fui acquistata come regalo di nozze per una coppia di giovani sposi.
Fui riposta insieme alle mie sorelle e ai miei fratelli in una grande credenza con i vetri trasparenti ed eravamo oggetto dell’ammirazione degli ospiti. Noi, d’altronde, dall’interno dell’armadio vedevamo la vita della famiglia, non quella di tutti i giorni purtroppo, ma quella delle domeniche e dei giorni di festa quando, in occasione del pranzo, la signora tirava fuori le stoviglie migliori.
Ho visto così crescere, giorno dopo giorno, i ragazzi (pensate erano cinque, tre maschi e due femmine), i loro capricci da piccoli, le loro risse verbali e, man mano che passava il tempo, le battute, le risate, i rimproveri qualche volta e poi soprattutto gli avvisi, quelli importanti che normalmente venivano dati a tavola proprio nei giorni di festa. E così ho visto anche progettare i matrimoni e l’arrivo dei nipoti: credo di averne contati dodici, ma il salone era abbastanza grande per contenerli tutti.
Purtroppo, dai oggi e dai domani, i miei fratelli e le mie sorelle si rompevano, uno dopo l’altro, soprattutto quando venivano lavati. Io invece raramente finivo in cucina, mi riempivano continuamente la pancia di zucchero e non si rammentavano di lavarmi che raramente.
Questa fu la mia salvezza ma, vivendo così a lungo, ho assistito anche al progressivo svuotarsi della casa, alla solitudine della vecchia signora, dopo la morte del marito, costretta a vivere gli ultimi suoi giorni con una signora alta e robusta che non avevo mai visto prima; il giorno che ella morì avrei voluto morire con lei. Ma ormai per tanto tempo quella casa restò vuota e buia e io rimasi immobile con tutto lo zucchero in pancia che ormai stava diventando una zolla durissima.
Non sapevo più se fossi viva o morta fino a quando un giorno, sentii la porta d’ingresso aprirsi, ed entrare i figli con mogli e mariti al seguito. Parlottavano tra loro, litigavano pure parlando di eredità e di cose del genere. Provai una profonda tristezza dentro di me ma mi prese una grande agitazione quando sentii uno di loro dire: "bene, diamo un’occhiata alla cristalliera!"
Quest’invito non suscitò un grande interesse nei presenti un po’ perché si era fatto veramente tardi, un po’ perché quasi nessuno di noi ormai rientrava nei loro gusti.
Quando andarono via, la casa ripiombò nel buio e nel silenzio ma, dopo qualche giorno, fecero ritorno ed io sono finita insieme a tutti gli altri in una vecchia scatola di scarpe, avvolta nella carta di giornale. Niente a che vedere con il mio primo viaggio da giovane. Ma, stranamente, non mi veniva di lamentarmi perché ero contenta finalmente di uscire fuori. Ed eccomi qui insieme a voi, non so più da quanto tempo ormai. Sono vecchia e per di più ricoperta di polvere. Come vorrei tanto poter ritornare a vedere il mondo lì fuori! -
"Bisognerebbe che questo tavolo fosse un po’ più ordinato" - disse il grande lampadario vedendo come la zuccheriera era pigiata e confusa tra decine di altri oggetti disposti alla rinfusa su un vecchio tavolo rotondo.
"Proviamo a sistemarci meglio" propose un piccolo bicchierino di vetro colorato.
"Si, proviamo" - dissero tutti gli altri. E così sette piattini che erano disposti uno accanto all’altro, si misero uno sopra l’altro. Altrettanto fecero le tre tazze da tè e le cinque coppe da gelato, liberando così un bel po’ di spazio. Lentamente, facendo attenzione a non urtarsi fra loro, dieci calici e otto bicchieri, al segnale della brocca, si disposero in un grande cerchio al centro del quale c’era proprio la bella zuccheriera.
"Grazie - ella disse - cercando di nascondere la commozione per la generosità dei suoi compagni - da domani, se volete - posso raccontarvi tanti di quegli episodi che potrei scrivere un romanzo, ne ho per tutti i gusti......"
L’indomani sera però non vi fu nessun ulteriore racconto da parte della nostra zuccheriera perché, già nel pomeriggio, una ragazzina che girava per il negozio, disse ad alta voce: "Mamma, guarda, somiglia proprio a quella della nonna!".
"E’ vero" - disse una giovane signora che doveva essere per l’appunto la mamma. Prese la zuccheriera tra le mani, vi soffio forte per mandare via la polvere, la capovolse per vedere il prezzo e disse: "non costa neanche tanto, prendiamola!"
In altri tempi la zuccheriera si sarebbe offesa a morte ma ora era tutta presa dal solo pensiero che di lì a poco sarebbe ritornata a vivere in una famiglia. Avrebbe potuto persino essere quella signora una delle figlie che lei aveva già conosciuto, pensava. Non sapeva che non avrebbe fatto molta differenza!
La casa in cui arrivò era uguale a diecimila altre case, al nono piano di un palazzone. La cucina dove concluse il suo viaggio la nostra zuccheriera era poco luminosa ma, in compenso, tutti i mobili erano bianchi e lucidi. La piccola zuccheriera non ne aveva mai visto di simili. "Perlomeno - pensò - non tolgono altra luce alla stanza".
Naturalmente non trovò nulla che potesse competere con lei in eleganza e bellezza, anzi pareva che tutti andassero fieri di essere stati fatti in serie e comprati ad un prezzo irrisorio. Le uniche che ostentavano un po’ di vanità erano delle buffe tazzine di caffè che, invece di essere decorate con figure disegnate, avevano fiori e foglie in rilievo sulla superficie. La zuccheriera, come si suol dire, fece buon viso a cattivo gioco, perché si rese conto che con loro e con altre discutibili tazzone da colazione, avrebbe trascorso l’ultimo tratto della sua vita.
Dopo l’uscita mattutina, la cucina rimaneva deserta fino a sera; a mezzogiorno non sentiva nessun bollore, nessun crepitio e nesun odore; la cena veniva preparata in un battibaleno e consumata ancora più velocemente.
Raramente la ragazzina e suo fratello si fermavano in cucina e, quando ciò accadeva, non parlavano tra loro o con i genitori ma stavano tutto il tempo a pigiare i tasti di un attrezzo mai visto prima che si limitava a emettere dei suoni come di campanelli.
La zuccheriera non capiva granché ma la mattina, quando, uno dopo l’altro e qualche volta insieme, tutti si sedevano a fare colazione, passava di mano in mano e sentiva tutto il calore degli umani e ogni volta che veniva afferrata sussurrava sottovoce: "Buona fortuna! Che tu possa essere felice oggi!"
Non so dirvi quanto tempo durò la sua vita in quella casa. Quello che posso dirvi è che, nonostante ciò che si potrebbe pensare, la zuccheriera trascorse quei giorni con grande pace e contentezza.
"Molto meglio di essere ammirati - pensava - è conoscere il mondo e, anche quando tante cose non ci sono chiare, l’unica cosa importante è sapere di essere utili!"